Il “lato ombra” della relazione arcaica col materno

Il “lato ombra” della relazione arcaica col materno

Molte persone, durante i periodi più difficili, percepiscono il loro essere nel mondo come il frutto di un progetto negativo: c’è chi lo chiama malocchio, chi sfortuna, chi sfiga.
Il pensiero che vi sia una volontà che non dipende da noi stessi, un qualche tipo di forza esterna in grado di far sì che la propria vita vada male, costituisce un fenomeno diffuso, un problema che non conosce distinzione regionale o sociale.
Finché ci si reca per curiosità o per scherzo da qualcuno ritenuto esperto nel togliere il malocchio o nel leggere i Tarocchi, non c’è da preoccuparsi; tuttavia di frequente si cade all’interno di un meccanismo mentale angoscioso e invalidante.
Giudicare superficialmente da fuori che questo modo di pensare sia un sistema per deresponsabilizzarsi o che si tratti di sciocca superstizione (fermo restando la compresenza di queste due componenti) non serve a nulla.
Facendo riferimento a modelli psicologici e psicoanalitici, il nucleo del problema può essere così definito: il malocchio è il “lato ombra” della relazione arcaica col materno.
La nostra mente si forma dal corpo e dalla mente di chi ci accudisce nella prima infanzia, figura che spesso, ma non necessariamente, coincide con la madre.
Se una madre insinua nella mente del figlio, durante tutta la sua infanzia, il pensiero che sia “sfigato”, il bambino sarà condizionato a tal punto da crescere con la convinzione che la sua vita andrà male.
L’incapacità di discostarsi dal progetto mortifero-distruttivo materno porterà il figlio persino a ridimensionare ogni tipo di evento positivo, magari combinando volutamente qualcosa di negativo.
Essendo la mente del figlio l’estroflessione della mente della madre tanto negli aspetti positivi quanto in quelli negativi, il tentativo di discostarsi dal progetto mortifero-distruttivo quando le cose vanno bene comporta nel figlio stesso la sensazione di star deviando troppo dal progetto iniziale, una sorta di sfida verso gli dèi, un senso di colpa per questo che potrebbe essere percepito come un “peccato di ὕβϱις”.

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